04.01.2011Alessandro Di Maio

Raffaele Ciriello - Ramallah, 13 Marzo 2002

Due viaggi in autobus tra Tel Aviv e Gerusalemme sono stati sufficienti per portare a termine la lettura di “Passione Reporter”, un libro che racconta di un giornalismo “irregolare”, fatto di uomini e donne che per un’informazione vera hanno dato la vita. Edito da Chiare Lettere e scritto dal giornalista Daniele Bianchessi, il libro è un omaggio a Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Raffaele Ciriello, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni e Antonio Russo. Tutti giornalisti inviati in zone di guerra, colleghi uccisi perché - questa la tesi del libro - avevano ficcato il naso dove non dovevano. Sono per lo più nomi sconosciuti agli italiani, ma pilastri portati per un opinione pubblica informata e colta, elementi necessari per una società democratica, grandi esempi per tutti i giornalisti - ed io sono uno di questi - che vogliono seriamente raccontare il mondo con parole, immagini, video.

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04.01.2011Alessandro Di Maio

Letture di Storia nella ummah araba

Dal mio arrivo in Terra Santa ho avuto modo di vedere pubblicati alcuni dei miei scritti e delle mie fotografie, ma ho ritrovato il piacere - perso al secondo anno d’università, quando manuali, codici, dispense e saggi presero il posto di romanzi, biografie e libri storico-strategici - di leggere libri su libri. In questo breve post - breve perché le impellenze da corrispondente sprovvisto delle più piccole garanzie sono fitte e intrecciate e non lasciano molto spazio al tempo libero - vorrei pubblicare una lista di piccole informazioni da me acquisite leggendo due tra i libri in lingua italiana portati con me dalla Sicilia. Il primo è “Storia di Israele”, un escursus storico, politico e filosofico scritto dal professore israeliano Eli Barnavi; l’altro “Breve storia dei popoli arabi”, un manuale storico scritto dal professore Sergio Noja che va dall’Arabia preislamica al sogno infranto dell’ummah arabo-islamica.

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04.01.2011Alessandro Di Maio

Operazione Soyuz 10-Salyut 1

In Sicilia il mese di maggio è mese di cambiamenti, speranze e idee. Fu proprio nel cambio di stagione che concepì l’idea di trasferirmi in Medio Oriente e lavorare da corrispondente per giornali italiani e stranieri. Presso una casa cantoniera da anni dismessa, ascoltando il ronzio delle vespe e il cicalio delle cicale, ritenendo deboli le difese di un Diritto Privato scaltro quanto grande e pericoloso, mi immaginai in Medio Oriente come forse solo il nostro re, Federico II, lo Stupor Mundi, si immaginò prima di partire alla volta di Gerusalemme. L’idea era semplice. Bisognava partire, trovare la forza e…

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04.01.2011Alessandro Di Maio

Un giornalista dalla Sicilia al Medio Oriente

Dalla terra di Demetra alla terra dei profeti, dal continente Siciliano al crocevia di continenti, dal centro del Mediterraneo al centro del mondo. E’ questo il viaggio che ancora una volta mi appresto a compiere: Sicilia-Gerusalemme, (al momento) solo andata. Oramai tutto è pronto. Aspetto solo di calpestare il suolo pietroso che tutti considerano sacro, di respirare l’aria mediterranea di Giaffa, quella frizzantina e tesa di Gerusalemme, quella greve di Gerico. Vado nel fazzoletto di terra chiuso tra il Mediterraneo e il Mar Morto, dove le parole, le denominazioni e i libri pesano più che altrove. Mi trasferisco in una terra che alcuni chiamano Israele, altri Palestina, Terra Promessa, Terra Santa, Vicino Oriente, Medio Oriente senza sapere che una non esclude l’altra.

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04.01.2011Alessandro Di Maio

Ron Paul, the revolution

Ron Paul è un politico di lungo corso. Anche se si candidato alla nomination presidenziale per il Partito Repubblicano egli non è conosciuto ai più, ma solo a piccoli gruppi di attivisti, studenti, giornalisti e analisti politici. E’ possibile che i media e i cittadini americani si siano soffermati solo su Obama, Clinton e McCain? Lo chiesi alla professoressa Julie Barko Germany, direttrice dell’Istituto di Politica, Democrazia e Internet dell’Università George Washington, e specializzata e conosciuta nel settore delle relazioni tra media e politica. Prima di definire la rivoluzione di Paul, Barko fece una premessa sul rapporto tra giovani statunitensi,…

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04.01.2011Alessandro Di Maio

No taxation without representation

Quando gli Stati Uniti d’America erano ancora un insieme di tredici piccole colonie inglesi situate nella parte nord-orientale del continente americano, l’Inghilterra, dissanguata economicamente dalla ‘Guerra dei sette anni’ impose ai sudditi americani una serie di tasse per rimpinguare le casse statali. Unite al monopolio di fabbricazione che vietava la produzione in loco nelle colonie di ogni tipo di bene industriale, le tasse richieste avrebbero reso ancora più improbabile uno sviluppo industriale ed economico delle colonie, mentre avrebbero rafforzando il monopolio della madrepatria. Intrise di cultura illuministica e consapevoli che il consenso dei contribuenti nella determinazione delle imposte era uno dei cardini tradizionali della libertà inglese fin dai tempi della Magna Charta, le tredici colonie rifiutarono il pagamento delle tasse e posero l’alternativa di inviare i propri rappresentanti al Parlamento di Londra o di essere esonerati da ogni tassa non approvata dai loro rappresentanti.

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