16.01.2011 Alessandro Di Maio

Vedere il vero nemico di Israele

Al momento i dettagli rimangono sconosciuti, ma è certo che le conseguenze dell’attacco sferrato stamani alla flottiglia internazionale diretta a Gaza, segnerà negativamente la già compromessa immagine di Israele nel mondo. Il rischio maggiore è quello di perdere la tradizionale e forte alleanza con quella che oggi è una potenza regionale, la Turchia.

Si è conclusa nel sangue l’avventura della ‘Freedom Flotilla’, un gruppo di imbarcazioni appartenenti ad organizzazioni non governative europee in rotta verso Gaza per rompere l’assedio marittimo israeliano e portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Il bilancio attuale è di 10 morti tra gli attivisti e 26 feriti, sei dei quali soldati israeliani.

Dall’inizio si era compreso che la questione della flottiglia sarebbe stata delicata per il governo di Tel Aviv, ma la tragedia innescata dall’uso della violenza nell’abbordaggio delle navi potrebbe costituire la spallata finale alla tradizionale alleanza diplomatica tra Israele e Turchia, già altalenante negli ultimi due anni.

Membro della NATO e potente protagonista della scena mediorientale, la Turchia ha infatti partecipato attivamente all’organizzazione e alla sponsorizzazione della 'flottiglia pacifista': numerosi gli attivisti turchi imbarcati e caduti durante l’attacco israeliano, turche molte organizzazioni presenti, turca l’enorme bandiera esposta sulla fiancata del traghetto 'Mavi Marmara'.

L’assalto sarebbe avvenuto tra le 4:30 e le 5 di mattina (ora locale) a circa 75 miglia nautiche dalla costa israeliana, quindi in acque internazionali. Secondo l’ufficio stampa dell’esercito israeliano, gli attivisti della nave turca avrebbero attaccato i soldati scesi dagli elicotteri con “fuoco vivo e armi leggere, tra cui bastoni e coltelli” rendendo necessario l’utilizzo di armi da fuoco.

Gli organizzatori della “Freedom Flotilla” respingono le accuse, dichiarando che sulle navi non vi erano armi e che prima della partenza ogni partecipante era stato controllato con il metaldetector. Per confermare la propria versione, l’esercito israeliano ha recentemente diffuso i video dell’assalto, dai quali è possibile vedere la reazione violenta degli attivisti all’abbordaggio dei soldati.

I dettagli non si conoscono ancora. EU, ONU e Turchia ha chiesto a Israele l’apertura di un’inchiesta, ma come riportato dal giornale israeliano Haaretz, il primo ministro Netanyahu ha “difeso la decisione della marina israeliana di aprire il fuoco contro gli attivisti”, e comunque, qualora l’inchiesta dimostrasse – confermando i video diffusi dall’IDF - che tra i pacifisti partiti alla volta di Gaza vi erano dei violenti, sarebbe troppo tardi per Tel Aviv evitare di compromettere ulteriormente la propria immagine nel mondo e il rapporto diplomatico con la Turchia.

L’Unione Europea si è stretta in uno sdegno unanime per “l’uccisione di civili” e ha convocato gli ambasciatori per un chiarimento sulla crisi, il presidente statunitense Barack Obama si è detto “profondamente rammaricato per la perdita di vite”, e il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dichiarato di essere “scioccato per l'attacco di Israele alla flotta degli attivisti pro-palestinesi” e ha condannato l'episodio.

Più dura le reazioni nel mondo arabo-musulmano. Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), ha condannato il raid israeliano, definendolo un “massacro”, il premier libanese Saad Hariri ha descritto l’azione israeliana come “un passo folle che alimenta la violenza nella regione” e ha sollecitato la Comunità Internazionale a porre fine “alle continue violazioni dei diritti umani da parte di Israele”, mentre l’Iran ha profetizzato “l’imminente fine dello Stato sionista”.

Ma la reazione più importante è quella della Turchia, il cui primo ministro, Recep Tayyp Erdogan, definendo l’assalto un “atto di terrorismo di Stato”, ha richiamato il proprio ambasciatore, chiesto una seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sospeso le tradizionali esercitazioni militari congiunte con l’esercito israeliano.

Da due anni a questa parte Ankara ha compiuto lenti e progressivi passi verso posizioni mediorientali alternative a quella di Israele, avvicinandosi a Siria e Iran e venendo incontro alle necessità materiali dei palestinesi.

Ciò è avvenuto essenzialmente per due motivi: da un lato per il ridimensionamento nell’establishment istituzionale turco della classe dei militari con cui Israele ha sempre avuto ottimi relazioni, e dall’altro per l’Operazione Piombo Fuso, considerata “sproporzionata” dal governo turco e per le gaffe del nuovo governo israeliano (vedi quella avvenuta lo scorso gennaio, quando il viceministro degli esteri israeliano e dirigente del partito di destra radicale Israel Beitenu, Dany Ayalon, mise in ridicolo l’ambasciatore turco Cellikol durante la pausa in un programma televisivo).

La decisione israeliana di attaccare con le forze speciali delle navi civili e la morte e il ferimento di numerosi attivisti (molti dei quali turchi) costituiscono pericolosi schiaffi al governo di Ankara, soprattutto alla luce delle reiterate richieste al governo Netanyahu di formule per gestire in modo razionale le richieste della flottiglia - visto che in passato (agosto 2006) l’avvicinamento controllato alle coste di Gaza per scaricare aiuti diretti ai palestinesi era stato permesso.

Nella conferenza stampa dello scorso 27 Maggio, il comandante della marina israeliana, il vice ammiraglio Eliezer Marom, dichiarò che la marina "impedirà alle navi di entrare nella acque territoriali di Gaza e lo farà comportandosi in modo professionale perchè formata da soldati professionisti con esperienza in simili passati eventi". Anche se alle navi è stato impedito di giungere al porto di Gaza, la professionalità dell'esercito israeliano è venuta a mancare e questo fa perdere a Israele l’unico paese islamico che gli era davvero amico. Con l’azione di oggi Israele decide di isolarsi ancora di più, chiudendosi come un riccio e pungendo per mascherare la propria debolezza. Dall'unica democrazia della regione, dal paese con uno dei migliori eserciti al mondo non ci si può aspettare l’apertura del fuoco contro un gruppo di attivisti armati di bastoni.

E’ vero, Israele ha tanti nemici. Molti di questi sono paesi arabi che non si fanno scrupoli ad affermare di voler distruggere Israele, altri sono simpatizzanti della causa antisionista, ma in questi giorni (vedi la risposta di Netanyahu all’accordo sulla non proliferazione nucleare in Medio Oriente o al rifiuto del visto al professore Noam Chomsky per una lezione universitaria in Cisgiordania) sembra evidente che il più pericoloso nemico di Israele sia il suo stesso governo, sempre pronto a eccessive dimostrazioni di forza che mettono in pericolo la sicurezza di Israele compromettendone sempre di più l’immagine nel mondo.

Se Netanyahu sceglie di difendere l’operato della marina senza "se" e senza "ma", se si rifiuta di ammetere l'incapacità del proprio esercito di portare a termine in modo pacifico l'abbordaggio di una nave di attivisti pro-Palestina muniti di bastoni e coltelli, se fa tutto questo è perché lo ha voluto, è perché sa di fare del male a Israele.

Editoriale pubblicato su LaSpecula Magazine il 31 Maggio 2010.