04.01.2011 Alessandro Di Maio

Ron Paul, the revolution

Ron Paul è un politico di lungo corso. Anche se si candidato alla nomination presidenziale per il Partito Repubblicano egli non è conosciuto ai più, ma solo a piccoli gruppi di attivisti, studenti, giornalisti e analisti politici. E’ possibile che i media e i cittadini americani si siano soffermati solo su Obama, Clinton e McCain?

Lo chiesi alla professoressa Julie Barko Germany, direttrice dell’Istituto di Politica, Democrazia e Internet dell’Università George Washington, e specializzata e conosciuta nel settore delle relazioni tra media e politica.

Prima di definire la rivoluzione di Paul, Barko fece una premessa sul rapporto tra giovani statunitensi, media tradizionali e new media: dagli 8 ai 18 anni i giovani americani guardano la TV per il 65% dei casi, ascoltano la musica per il 20% e leggono per il 2-3%, ma, ammise, “oggi i social network come Facebook, My Space, Youtube influenzano maggiormente i giovani” poiché sono utilizzati per il 30% come supporto personale, per un altro 30% come mezzo di cognizione informativo e per il 24% come strumento da cui attingere servizi di vario genere.

“Dal punto di vista comunicativo la campagna elettorale del candidato alla nomination repubblicana Ron Paul si è dimostrata molto simile a quella del candidato alla nomination democratica Barack Obama. - affermò la professoressa dopo aver sorseggiato il suo caffè long black. Il titolo della sua campagna elettorale è ‘Ron Paul the revolution’ perché il contenuto del suo programma politico è davvero rivoluzionario e perché la diversità del rapporto con i cittadini”.

Nei gadget propagandistici, le lettere ‘evol’ della parola ‘revolution’ sono a stampatello e di colore rosso per evidenziare la parola ‘LOVE’ “che costituisce - continuò Barko Germany - un messaggio pacifista che attrae i giovani”.

Proprio come il ‘change’ di Obama, Paul utilizza una parola chiave positiva che non solo ha un forte sex appeal nei confronti dei giovani elettori, ma delinea parte del proprio programma politico: il ritiro delle truppe da ogni teatro di guerra.

“Quella di Paul è una campagna elettorale completamente decentralizzata, che parte dai supporters e non dall’alto scranno del candidato o dei suoi consiglieri. Pensiamo ai meetup, cioè agli incontri face to face organizzati sul web da persone che condividono uno stesso interesse, Obama ne ha solo 100, Ron Paul è il primo tra tutti i candidati con 1500 meetup”.

“L’elettore medio di Paul ha tra i 18 e i 29 anni, è maschio ed è repubblicano”. Repubblicano e non democratico perché Paul ha sposato le tesi della Scuola economica austriaca e vuole l’azzeramento delle tasse e dello Stato e la più ampia apertura dei mercati.

Nonostante ciò Paul è un conservatore sui generis: punta alla liberalizzazione delle droghe e la penalizzazione dell’aborto, all’isolazionismo USA dalla scena internazionale e dagli organismi internazionali come le Nazioni Unite.

Ecco la ‘revolution’ di Ron Paul, una rivoluzione annunciata e impossibile da realizzare perché non solo cambierebbe radicalmente il volto e il cuore degli Stati Uniti d’America, ma sarebbe d’intralcio agli interessi di chi gestisce i poteri forti.

Ron Paul sposa spesso tesi complottistiche e cospirazionistiche, come quella secondo cui i responsabili degli attentati dell’11 Settembre 2001 sarebbero il governo degli Stati Uniti, le istituzioni militari e i servizi segrete israeliani.

A questo si aggiunge il fatto che i supporters della ‘revolution’ spiegano gli scarsi risultati elettorali di Paul – dal 2,67% dei voti ottenuti nelle primarie repubblicane del Massachuchets al 21,37% dei voti nel North Dakota, per una media del 6% dei voti totali e con nessuno Stato conquistato – “con una intensa e generale attività di censura nei confronti del loro candidato”, affermò la ricercatrice.

Ciò sarebbe provato non soltanto dal Google Zeitgeist 2007, che lo ha definito il candidato repubblicano più ricercato nel motore di ricerca, ma anche dalle innegabili vittorie ai dibattiti televisivi con gli altri candidati repubblicani. ”Le vittorie sono giustificate dai messaggi ricevuti dalle emittenti televisive alla fine di ogni dibattito: una media del 63% di messaggi inviati dai telespettatori dava la vittoria a Ron Paul”.

Di fatto, la tesi ‘censura’ trova appigli: a) dalle rare inquadrature durante il dibattito televisivo in Florida del 28 novembre 2007; b) dall’esclusione operata da Fox News nei confronti di Paul nel dibattito televisivo tra i candidati repubblicani del 6 Gennaio 2008 a soli due giorni dalle primarie in New Hampshire; c) dall’estromissione operata nuovamente dalla Fox nei confronti del candidato libertario dal grafico sullo scrutinio dei caucus in Nevada del 19 Gennaio. Paul qui aveva ottenuto il secondo posto con il 13,73% dei voti contro il 12,75% di McCain; d) oppure ancora dalla ‘svista’ del quotidiano Daily Mirror che alla vigilia del Super Tuesday del 5 Febbraio ha pubblicato un articolo dove spiegava le posizioni di tutti i candidati tranne quella di Ron Paul (che a differenza di Rudy Giuliani non si era ritirato).

“Secondo i libertaristi, gli scarsi risultati elettorali di Paul sarebbero spiegati – aggiunse la prof.ssa – anche dal farraginoso sistema elettorale statunitense che prevedendo la registrazione del proprio nominativo mediante reti universitarie, associazionistiche, sportive, ludiche, ecc, sarebbe facilmente orchestrabile a danno di uno o più candidati”.

“Quella di Paul è una buona campagna elettorale”, disse la ricercatrice. Le elezioni primarie non lo videro solo come un nome in rosa, ma come un idea (giusta o sbagliata) di come gli Stati Uniti dovrebbero essere. Ciò non valse né per McCain, Huckabee o Rommey - nomi messi lì da lobby politico-religiose ed economiche - né in campo democratico. Ciò non soltanto perché la differenza politica tra i candidati fu minima, ma anche perché se Clinton rappresentò la tradizione democratica statunitense, Obama, purché più vicino all’elettore, più innovativo, giovane e svelto, non ebbe un vero e proprio programma politico ma speranzose e travolgenti parole - “change”, “hope” e “progress”.

Tratto da “Diario di un giornalista per la prima volta ufficiale”
Italia e Stati Uniti d’America
Marzo-Maggio 2008

Il testo contenuto in questo post fa parte della tesi di laurea di Alessandro Di Maio dal titolo "USA 2008: elezioni primarie e giovani americani" ed è stato per la prima volta pubblicato su Alexander Platz Blog il 6 Gennaio 2010