22.02.2011 Alessandro Di Maio

Lezione di noir con Carofiglio e Lucarelli

Durante la 25ma edizione della Fiera Internazionale del Libro a Gerusalemme sono intervenuti alcuni autori italiani. Il primo incontro che ho seguito mi ha dato la possibilità di incontrare due tra i più importanti scrittori italiani di libri gialli e noir: Gianfranco Carofiglio e Carlo Lucarelli.

La conversazione, diretta a scoprire il sistema della scrittura di libri gialli, è stata illuminante e piacevole, frammista a battute in italiano e ebraico sulla situazione italiana e israeliana che però vi risparmio. Ve la ripropongono.

Qual è il confine tra finzione narrativa e mondo reale?

Gianfranco Carofiglio: Il romanzo, e in generale la narrazione di storie, ha delle regole di plausibilità che la realtà non ha. A differenza dei fatti che accadono nella vita reale, ai romanzi può essere mossa l’accusa di irrealtà.

Personalmente non sono appassionato delle etichette che si danno ai romanzi. Quando ho scritto il mio primo romanzo pensavo si trattasse di un romanzo di formazione, ma qualche mese dopo il giornalista Corado Agiuas ne fece una recensione definendolo romanzo giallo. Rimasi perplesso. Non pensavo di aver scritto un giallo.

Dopo qualche settimana ho visto l’effetto che l’etichetta di “giallo” aveva sulla vendita del libro. Anche se quell’effetto mi rese più flessibile, continuo a pensare che un aspetto interessante di un romanzo sia la possibilità per i diversi lettori di darne classificazioni diverse.

Carlo Lucarelli: Nel 1994 ho scritto un libro dal titolo “Falange armata”. L’ho scritto perché in quel periodo a Bologna succedevano numerosi fatti criminali che non riuscivamo a spiegarci: duecento rapine, ventidue omicidi. Tutti compiuti da un gruppo di persone che utilizzavano una macchina rubata, una Fiat Uno di colore bianco. La chiamavano la “Banda della Uno bianca” ma nessuno sapeva chi fossero.

Cercavo di capire perché Bologna fosse diventata d’improvviso una città criminale. Ora, poiché l’unico modo che abbiamo noi narratori che scriviamo storie è cercarle di capirle, ho preso tutto quello che sapevo sulla mia città e sulla Banda della Uno bianca, e ho iniziato a scrivere un romanzo in cui c’è un poliziotto che cerca di capire chi sono quelli della banda.

Nel mio romanzo il capo della banda è un poliziotto della Questura di Bologna. L’anno dopo la polizia arresta sei poliziotti della questura di Bologna per essere i componenti della banda.

Significa che sono più intelligente della polizia? No, ho solo fatto quello che fa uno scrittore di noir: ho cercato di capire come possono accadere cose del genere e ho messo in scena i meccanismi della realtà. Siccome la realtà supera la fantasia, ecco che avevo raccontato una storia vera.

Il romanzo noir racconta la metà oscura della realtà. In un paese come l’Italia, che ha molti meccanismi criminali in politica, nella storia e nell’economia, il noir diventa un ottimo mezzo per raccontarne la vita.

Quello che piacerebbe a noi scrittori di noir è tenere sveglio il lettore per tre notti: la prima perché deve leggere il libro fino alla fine, altrimenti non può dormire; nella seconda perché si domanda “ma davvero succedono queste cose?”; la terza perché pensa a come cambiarle.

Purtroppo non succede mai. Infatti, dopo la pubblicazione del mio romanzo la polizia mi ha interrogato per chiedermi come facevo a sapere che i componenti della Banda della Uno Bianca erano dei poliziotti.

Il noir ha un cuore? Un rapporto fisso tra personaggi o eventi?

Lucarelli: Voglio raccontare il rapporto tra un individuo e un potere più grande. Mi piacciono i personaggi che fanno le cose per una loro personale ossessione, i poliziotti che fanno le indagini, anche se la polizia non vorrebbe. E’ questo che racconta il noir: la forza del potere contro l’individuo.

A me piace vedere la fine della storia con i criminali in galera, anche se sono molto potenti. A differenza della realtà, nei mie libri l’assassino va sempre in carcere. E’ il mio momento di gloria.

Si dice che il romanzo giallo è un consolatorio. Non è vero. Il nostro compito è spaventare la gente e lo facciamo nel modo migliore, perché vogliamo che le persone combattano contro l’oscurità al di fuori dei nostri libri, nella realtà.

Carofiglio: Quando scrivo una storia sono attratto soprattutto dall’individuo posto di fronte alcuni dilemmi cruciali. Mi affascina l’idea di raccontare persone normali che fronteggiano scelte morali eccezionali. Mi piace sapere cosa fanno, nel bene e nel male.

Preferisco i personaggi morali, cioè quelli che tra bene e male fanno la cosa giusta, ma nei romanzi devono esserci anche quelli amorali.

Il personaggio affascinante è quello che sbaglia molte volte. E’ il personaggio imperfetto che, al momento giusto, fa la cosa corretta. Il romanzo noir si presta bene a raccontare queste situazioni.