Hallgatásaim szent idején all’Ecseri Piac
Le coordinate GPS sono 47.4382 e 19.141, ma quel giorno freddo e leggermente illuminato da un sole troppo piccolo per farsi sentire dalla pelle del viso, non avevo né una mappa, né un indirizzo preciso, né un GPS. Avevo solo indicazioni generiche.
Spinto dalla passione per i “i cosi vecchi” e per il kitch, ero deciso a raggiungere l’Ecseri Piac di Budapest, il mercatino delle pulci della capitale ungherese, secondo alcuni il più affascinante dell’Europa ad est dell’ex cortina di ferro, dopo quello di Lubiana.
Per arrivarci da Nagyvàrad Tér, luogo di partenza tra Üllői út e Haller Utca, fu necessario prendere due volte la metropolitana, due tram, un autobus, chiedere informazioni a circa trenta persone, assistere ad un controllo di biglietti andato a finire male e prendere due tè caldi per resistere alle pugnalate di un freddo metallico ed affilato.
Una volta arrivati misi le mani dappertutto, toccai, girai e rigirai ogni oggetto, ogni cianfrusaglia, ogni rigurgito storico. Ero in cerca di qualcosa che fosse economica e interessante. Le bancarelle erano molte, più di duecento. Vi erano esposti mobili, quadri di ogni tipo, antichissime macchine da cucire, statue austro-ungariche e del periodo socialista, oggetti kitsch, televisioni del tempo del boom economico di Kádár, strumenti musicali, monete, banconote, spille, cartoline, lettere, album fotografici di vecchie famiglie estinte, armi e uniformi della Seconda Guerra Mondiale.
Tutto era così meravigliosamente ricco e triste. Sembrava un’era scivolata direttamente dalla Storia ai tavoli di quelle bancarelle. Sapevo già che avrei trovato le statue di Lenin e Kádár, gli oggetti del periodo socialista e quelli reperibili in qualsiasi mercatino, ma non mi sarei mai aspettato di trovare dischi in vinile di cantautori italiani degli anni settanta e ottanta, timbri nazisti per ebrei, armi sovietiche e naziste.
Non avrei mai immaginato di trovare pistole e Bazuka, bombe a mano e mortai, elmetti integri e forati da pallottole. Eppure era tutto lì, davanti ai miei occhi.
Mercanteggiavo una moneta romana ad una bancarella quanto fui interrotto da un uomo vestito totalmente di nero. Era magro e alto, dal viso stretto e acuto, vestito con pantaloni stretti, giacca di pelle e un cappello
Dalla giacca uscì un mazzo di banconote dal quale potei notare con chiarezza vari pezzi da cento euro, dollari americani e fiorini ungheresi. Mostrò un elmetto forato appartenuto ad un nazista, una maschera antigas e una pistola nera e dalla canna leggera. La signora parlò in ungherese, poi in inglese. L’uomo annuì e pagò con 450 €.
Quella rapida e pesante transazione mi aveva sbalordito, imbarazzato. Cosa potevano valere la mia offerta di fronte a quanto avevo appena assistito? Decisi di non mollare e di ottenere quanto desiderato al minor prezzo possibile. Alla fine riuscii ad acquistare un’antica e ben conservata moneta romana.
In un’altra bancarella mi soffermai su un album di fotografie. Per trovarsi lì era certamente appartenuto a qualche famiglia oramai scomparsa.
Le fotografie erano in bianco e nero. Alcune color seppia. Erano tutte incollate su un cartoncino nero tanto pieno di polvere che sentivo la polvere incastonarsi tra le dune delle mie impronte digitali.
L’unica foto che attirò la mia attenzione fu quella di un uomo sui sessant’anni vestito elegantemente con cravatta e soprabito. Aveva i capelli corti e in ritirata, gli occhiali stile Fidel Castro o Henry Kissinger, ed era poggiato ad un parapetto davanti la curva di un fiume, su cui si stendeva un ponte distrutto.
Riconobbi lo sfondo delle foto nello straordinario panorama che si ammira fluviale e industriale che si ammira al confine tra Ungheria e Slovacchia, all’altezza di Esztergom e Sturovo, rispettivamente città ungherese del nord e piccola cittadina industriale slovacca.
Il ponte che originariamente univa le due sponde, quello che vidi distrutto nella foto, era lungo cinquecento metri e si chiamava Marie Valerie Bridge in onore dell’Arciduchessa d’Austria Marie Valerie.
Costruito nel 1895 per mano dell’ingegnere János Feketeházy esso fu distrutto due volte: nel 1919 a causa di un’esplosione fortuita che ne fece collassare alcune parti, e nel 1944 quando fu completamente distrutto dalle truppe tedesche per interrompere ritardare l’avanzata dei Sovietici.
Ricostruito con la forma originale e inaugurato l’11 Ottobre del 2001, oggi il ponte porta lo stesso nome dell’originale, è lungo qualche metro in più ed è varco di confine tra i due paesi.
Sul retro della foto ci stava un foglietto giallastro su cui aveva battuto a macchina una propria poesia intitolata “Hallgatásaim szent idején”, firmata Mészáros János.
Hallgatásaim szent idején
Csend! Dallam zeng szivemben, hallgatom.
Hányszor hittétek? Nincs is több dalom.
De vágya lángján izzó bódulatban daltdalra,
én épp akkor álmodom.
Mint ha távol szállnának felettem,
csodásan zengó vándormadarak, s a dal-dalra
suhan el, a titokzatos végtelenben.
Csak lesem-figyelem a dalt, mélá hallgatag.
De semmi szó!Csak hang, csak tiszta dallam.
Titokban suhan át agyamon szivembe s úgy
ad vissa magamat magamnak az a tiszta dal,
mely szivemben zeng.
Hallgatásaim szent idején. Csend!
(Mészáros János)
Tratto da "Diario del viaggio dei confini orientali"
Dicembre 2007-Gennaio 2008
Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 28 Aprile 2008