03.01.2011 Alessandro Di Maio

La fine, l’inizio di una nuova avventura

Quando mancavano pochi giorni alla fine dell’esperienza in ambasciata mi accorsi che i carichi di lavoro si facevano sempre più pensanti. C’eravamo guadagnati la fiducia dei vari uffici della casa diplomatica, così interviste, video editing, rassegna stampa ci tenevano occupati ad ogni ora.

In quei giorni mi mandarono all’inaugurazione del nuovo spazio espositivo del Museo Napoleonico di Roma, intervistai l’attore Giancarlo Giannini, incontrai ed intervistai due scienziati della NASA, scrissi articoli sul risparmio energetico e sul riciclo dei materiali messo in atto dall’ambasciata e dai consolati USA in Italia. Tradussi in inglese un comunicato sulla situazione sanitaria a Napoli per tranquillizzare i turisti americani presenti nella città partenopea, partecipai attivamente alla rassegna stampa mattutina e completai la presentazione video del programma ‘Face to Face’, una web-chat tv in streaming che settimanalmente proponeva a studenti e professionisti del settore diplomatico e giornalistico interviste e dibattiti.

Un giorno, camminando in direzione del mio ufficio, incontrai Ben, il capo del Press Office.
Proveniva dalla direzione contraria alla mia e con i suoi lunghi passi sembrava tagliare l’aria.
Sembrava un tipico incontro da film western. Ci guardammo da lontano, poi sempre più vicino.
A circa due metri di distanza, facendo l’accento australiano mi chiese: “How are you going bro?”.
“Not bad mate and you?”, risposi a tema, imitando il modo di parlare dei miei amici rimasti in Australia.
“Muy bien gracias!”, disse in spagnolo dopo avermi già superato ed essersi girato leggermente verso di me oramai alle sue spalle. “Ah…when you can – aggiunse seriamente - come to my office please”.

La mia bocca reagì automaticamente: “Sure! Five minutes and I will be there!”, esclamai salutandolo con la mano e continuando per la mia strada. Entrai nel mio ufficio. Salutai Patrizia, sprofondai sulla sedia appoggiando i gomiti sulla scrivania tenendomi i capelli con le mani.
“Che cazzata avrò combinato?”, pensavo preoccupato.
“Tutto bene?”, chiese Patrizia.
“Si, si, tutto ok, grazie. Devo solo passare da Ben ed ho un forte mal di testa”, risposi mentendo.
“Dormito poco eh?”
“Già, ma adesso prendo un’aspirina”.

Trafficai un po’ al computer, contattando dei giovani studenti americani interessati ad incontrare i già famosi interns italiani. Poi consultai il manuale, lo richiusi e andai in bagno.
“Vado a prendere un’aspirina”, dissi a bassa voce.
Andai in bagno e mi lavai la faccia. Sistemai i capelli, tolsi la cravatta e rifeci il nodo.

Bussai alla porta del capo.
“Come in”, disse.
Era alla scrivania davanti al computer, sottoesposto dalla luce che gli faceva ombra dalla finestra. I mobili della stanza erano nuovi. Li aveva appena cambiati.
Ad una parete c’era un televisore al plasma sintonizzato su una partita di Hockey su ghiaccio trasmesso dal canale sportivo ESPN.

Scelsi la poltrona alla mia destra e mi posizionai per nascondere il timore: gambe leggermente divaricate, braccia aperte sulle cosce, mani immobili, viso sereno e sorridente. Per prima cosa si congratulò per la qualità degli ultimi lavori, poi mi disse che l’ambasciata mi aveva scelto tra una lista di giovani giornalisti italiani per un progetto del Foreign Press Center del Dipartimento di Stato USA. Il progetto, mi spiegò, avrebbe invitato dieci giovani giornalisti europei a seguire le elezioni primarie statunitensi. Gli articoli sarebbero stati pubblicati sul mio settimanale: LaSpecula.com.

In poche parole l’ambasciata aveva scelto me da un lista di decine di persone. Riconoscevano nel LaSpecula.com una testata giornalistica riconosciuta dal Dipartimento di Stato.

“Cosa ne pensi? Accetti?”, mi chiese.
“I already accepted it”, risposi entusiasta.

La mia candidatura sarebbe stata resa nota al Washington Foreign Press Center il quale avrebbe valutato tutte le candidature europee e scelto i dieci fortunati prima della fine della mia collaborazione con la sede diplomatica.

Qualora avessero inserito me nella lista finale, ad Aprile sarei partito per gli Stati Uniti con un volo pagato dal Dipartimento di Stato, avrei soggiornato e viaggiato gratuitamente a Washington e Philadelphia, viaggiato per alcuni degli Stati della East Coast, conosciuto Barack Obama, John McCain, rivisto Hillary e Bill Clinton, incontrato decine di giornalisti, professori, scienziati politici europei e americani.

Quella notizia mi rese euforico. Ringraziai Ben e lasciai il suo ufficio per correre di felicità in corridoio e condividere la novità con tutti quelli che incontrai. Da quel momento l’idea di tornare in America riempiva i miei giorni. Aspettavo la conferma del Washington Foreign Press Center.

Quel pomeriggio ricevetti l’invito di Anne, Minister Counselor for Public Affairs, per un rinfresco con letterati e intellettuali italiani e americani da tenersi a casa sua, presso Piazza Navona e Piazza delle Cinque Lune, alle nove di quella stessa sera.

Ci andai con Domenica, Roberto e Sergio: un quartetto straordinario che non smetteva mai di ridere e provocare, chiedere informazioni stradali, disturbare turisti asiatiche e guardare vetrine.

L’ascensore dell’edificio era piccolo e si entrava in non più di quattro. Io capitai un signore italo-americano di religione giudaica, anch’egli invitato dal ministro consigliere. Era uno scrittore, si presentò da gentiluomo e disse di chiamarsi Levi.

L’ultimo giorno all’ambasciata lo dedicai per chiedere l’ultimo lavoro, presentarlo e salutare tutti i colleghi. Ricordo di essere stato l’ultimo del Press Office a lasciare la sede diplomatica. Da tutti gli altoparlanti la voce di un marine intimava i presenti di lasciare l’edificio prima delle cinque del pomeriggio. Alle quattro e cinquantacinque tolsi definitivamente il badge nominativo con la foto del primo giorno, scesi le scale di fretta. Salutai le guardie e superai il cancello. Dopo due mesi ero fuori. Non ero affatto triste, un po’ nostalgico forse, ma sicuramente felice perchè quel giorno il Foreign Press Center di Washington confermò la mia selezione per il reportage negli Stati Uniti.
Avevo terminato un’esperienza seminando il seme per la prossima. Ad aprile sarei partito per gli Stati Uniti

Tratto da “Diario di un soggiorno romano”
Gennaio-Febbraio 2008