16.01.2011 Alessandro Di Maio

Italia e Libia si accordano sul passato coloniale

Italia e Libia firmano un accordo che chiude definitivamente i conti con il passato coloniale e apre nuove prospettive politiche, economiche e culturali. La formula trovata da Berlusconi e Gheddafi attrae molti paesi africani, secondo i quali dovrebbe costituire un precedente verso cui Stati ex-colonialisti come Francia, Belgio e Inghilterra dovrebbero uniformarsi.

Rispettivamente in doppio petto blu e in tunica bianca e marrone, il 30 Agosto scorso il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, e il leader libico, Muammar Gheddafi, si sono incontrati a Bengasi, nell’edificio che durante l’esperienza coloniale (1911-1943) ospitò il quartier generale del governo italiano, per firmare un “trattato di amicizia, parternariato e cooperazione” con il quale l’Italia ammette i propri errori passati, chiede ufficialmente scusa per i crimini compiuti durante i decenni dell’occupazione coloniale e, come ha dichiarato il primo ministro italiano, “si impegna a versare duecento milioni di dollari all’anno nei prossimi venticinque anni per un totale di cinque miliardi di dollari da destinare a progetti infrastrutturali in Libia”.

L’occasione per la riconciliazione l’ha fornita un’antica statua di marmo raffigurante una nuda Venere priva di testa e avambracci, scoperta in territorio libico da archeologi italiani nel 1913 e portata a Roma come bottino. Secondo quanto dichiarato da Berlusconi, il governo italiano l’ha restituita a Tripoli “nella speranza di essere riusciti a mettere da parte tutto ciò che non è amore”.
Gheddafi si è detto molto soddisfatto e “certo che questo storico accordo aprirà le porte per una futura cooperazione e partnership tra l’Italia e la Libia”. E’ dall’inizio della sua carriera politica - dalla Rivoluzione che portò alla caduta della monarchia del re Idris e all’instaurazione della repubblica - che il leader libico rivendica il risarcimento per i danni e i crimini commessi dagli italiani durante il periodo coloniale.

Ottenuto il potere nel 1969, il colonnello dichiarò che “i 4.5 miliardi di lire pagati dalla Repubblica Italiana a re Idris nel 1956 per la ricostruzione economica dell’ex colonia italiana sono un’ipocrisia”, poi, nel 1970, fece rimpatriare in Italia i circa ventimila italiani ancora residenti nella ex colonia, espropriandoli di ogni tipo di bene per una somma totale di circa quattrocento miliardi di vecchie lire, ovvero tre miliardi di euro, che Tripoli giustificò come “parziale ristoro dei danni derivanti dalla colonizzazione”. A ciò bisogna aggiungere un 250 milioni di euro di credito che circa ventuno aziende italiane vantano nei confronti dello Stato libico.

Dagli anni Settanta, benché i rapporti tra i governi di Roma e Tripoli siano sempre stati intensi, si è cercato varie volte di giungere ad un accordo che mettesse una pietra sopra il passato coloniale e al tempo stesso che garantisse intese economiche e politiche tra i governi di entrambe le sponde del Mediterraneo, ma se da una parte le richieste del colonnello libico si dimostravano eccessive, dall’altro molti governi italiani ritornavano sulle promesse fatte.

“L'accordo – ha detto il premier dopo aver firmato in duplice copia i documenti del trattato - deve mettere fine a quaranta anni di malintesi” poiché – ha continuato il premier - c'é un riconoscimento completo e morale dei danni inflitti alla Libia da parte dell'Italia durante il periodo coloniale e la sincera manifestazione del nostro dolore per quello che è successo tanti anni fa e che ha segnato molte delle vostre famiglie”.

Commentato positivamente da tutte le cancellerie africane e considerato da buona parte dei mass media africani come un precedente di ammissione di colpa e accettazione di scuse e riparazioni che tutti i paesi ex colonialisti dovrebbero attuare, l’accordo tra Italia e Libia rischia di creare problemi a Parigi sul contenzioso storico-politico con Algeri che vede l’Algeria pretendere un pentimento francese come condizione preliminare alla firma di un trattato d’amicizia e il presidente Sarkozy avere difficoltà ad ammettere chiaramente la sciagura che il colonialismo francese rappresentò per il paese africano.

In cambio del suo gesto però, Roma si aspetta una contropartita: la partecipazione attiva di Tripoli alla lotta contro l’immigrazione clandestina proveniente dall’Africa settentrionale e soprattutto la garanzia di forniture energetiche all’Italia in un momento in cui il prezzo del barile è alle stelle e le recenti tensioni caucasiche hanno compromesso l’affidabilità della Russia.

Nonostante tutto l’accordo – frutto non soltanto della politica dell’attuale governo ma anche dell’attività diplomatica dei passati governi Prodi e D’Alema - non è solo rosa e fiori. In esso mancano riferimenti al risarcimento dei ventimila italiani che nel 1970 furono vittime dell’espropriazione di tutti i loro beni e del rimpatrio forzato in Italia e ai sempre più cospicui crediti vantati da alcune aziende italiane per le commesse eseguite in Libia dagli anni '80 ad oggi.

Parlando a Radio City subito dopo l’accordo siglato a Bengasi, il ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, ha dichiarato che “il trattato firmato il 30 agosto prevede per gli italiani che hanno subito la confisca nel 1970 la possibilità di tornare in Libia e di sedersi ad un tavolo negoziale della Farnesina per trattare con la Libia i loro crediti”.

Immediata è stata la risposta di Giovanna Ortu, presidente dell'AIRL, l’Associazione Italiana Rimpatriati dalla Libia, che, tramite un comunicato, ha detto che “il ministro confonde i crediti vantati dalle aziende italiane per commesse eseguite negli anni '80 con i risarcimenti dovuti agli espulsi del '70 che da 38 anni attendono di recuperare almeno in parte il valore dei loro beni”. “Siamo stati dimenticati dal governo – ha continuato Ortu - un accordo da 5 miliardi di dollari firmato con la pistola del ricatto alla tempia e nulla per risarcire i 20.000 italiani e i loro eredi per i beni confiscati nel 1970”.

Amaro anche il commento di Leone Massa, 76enne napoletano che dal 2000 presiede l'Associazione Italiana per i Rapporti Italo-Libici portando avanti la battaglia delle ventuno aziende italiane creditrici di Tripoli. Riferendosi all’ultimo comma dell’articolo 35 della Costituzione italiana – “…la Repubblica tutela il lavoro italiano all'estero” - Massa ha dichiarato: “la verità è che Gheddafi ha saputo difendere benissimo i diritti dei suoi cittadini, Berlusconi non ancora. Ci sono molti imprenditori, come il sottoscritto, che vantano crediti da Tripoli e non hanno mai ottenuto un euro”.

Articolo pubblicato su LaSpecula il 21 Settembre 2008.