16.01.2011 Alessandro Di Maio

Indonesia, muore il Pinochet d’Oriente

Dopo il ricovero iniziato il 4 Gennaio scorso per problemi cardiaci, polmonari e renali, Suharto, ex dittatore indonesiano da molti definito il Pinochet d’Oriente, è morto la scorsa domenica 27 Gennaio 2008, all’ospedale Pertamina di Jakarta. Aveva 86 anni.

La notizia ha diviso l’Indonesia, un paese che dal 1998 cerca di far luce sul suo passato e sulla figura di Suharto. Era il 1998 quando Suharto, rieletto presidente per la settima volta consecutiva, fu costretto alle dimissioni da massicce manifestazioni studentesche innescate dalla crisi economico-finanziaria dell’anno prima.

Da allora qualsiasi notizia relativa all’ex dittatore ha sempre spaccato il paese, ancora non in grado di comprendere l’opportunità o meno di considerare padre della patria un dittatore capace in 32 anni di potere assoluto di macchiarsi del sangue di un inestimabile numero di civili, di appropriarsi - questa l’accusa - di un patrimonio statale stimato tra 15 e 45 miliardi di dollari, e al tempo stesso di trasformare il più frammentato paese al mondo (300 gruppi etnici e 250 lingue diverse in 17.500 isole), ed uno dei più poveri, in una delle cinque temibili tigri economiche dell’Asia.

Se nella capitale erano in molti a festeggiare la morte del “dittatore sanguinario”, come veniva indicato in alcuni manifesti, nella città di Matesih si celebravano i funerali seguiti da decine di migliaia di persone. Presenze eccellenti: il leader di Timor Est Xanana Gusmao, vissuto per anni nelle carceri dell’ex dittatore, e l’ex premier malese Mahatir, nemico di Suharto negli scontri per il controllo del Borneo.

Nato l’8 Giugno 1921 a Kemusuk Argamulja, un paesino al centro dell’isola di Java, in un’Indonesia ancora colonia olandese e da una famiglia povera e numerosa, Haji Mohammad Suharto lavorò in banca fino all’età di 19 anni quando decise di dare una svolta alla propria vita arruolandosi nelle forze armate olandesi.

Nel 1943 durante l’occupazione nipponica dell’Indonesia, si unì alla milizia collaborazionista filo-giapponese (Peta) per combattere “l’imperialismo bianco”, ma il ritorno degli olandesi nel secondo dopoguerra lo portò ad unirsi alla guerriglia nazionalista che nel 1961 contribuirà all’indipendenza e alla sua rapida ascesa nelle forze armate nazionali.

Nel 1965 sventò un tentativo di colpo di stato attribuito al Partito Comunista Indonesiano (PKI), nel 1967 estromise il presidente Sukarto dall’attività di governo e nel 1968 si fece a eleggere e riconfermare presidente fino al 1998.

Fortemente impregnato di cultura asiatica, Suharto fu il più fedele alleato dell’Occidente in Estremo Oriente. La sua presenza arginò l’espansione socialista nel sud-est asiatico e permise la costruzione dell’orde baru – come amava definirlo -, un nuovo ordine basato sulla repressione delle opposizione e sull’allargamento dei propri confini (Malaysia, Timor Est).

“Anche se la sua eredità può essere un po’ controversa”, afferma l’ambasciata statunitense a Jakarta con un comunicato stampa diffuso poco dopo la morte, “il presidente Suharto è una figura storica che ha lasciato un’impronta durevole sull’Indonesia e sulla regione del sud-est asiatico”.

Articolo pubblicato su LaSpecula Magazine il 3 Febbraio 2008