I mille profeti si riuniscono a Roma
Poco prima dell’esordio in Ambasciata, mio padre venne a trovarmi dalla Sicilia. Con sé portava vestiti e oggetti che mi sarebbero serviti a Roma. Venne in aereo e ci ritrovammo alla stazione Termini. Quando mi vide esclamò: “con questo giaccone, questa sciarpa e questa coppola ti trovo invecchiato!”
L’atmosfera che respirai in quei giorni fu lieta perché ebbi modo di camminare con mio padre per le strade di Roma, di conversarci come mai era successo prima. Rimase a Roma per tre giorni, giusto il tempo per qualche discussione su religione e politica, per godersi la città, visitare qualche museo, invitarmi a mangiare al ristorante e assistere all’Angelus del Papa.
“Credi sia veramente lui alla finestra?”, gli domandai con il naso in su in direzione di un individuo vestito di bianco affacciato ad una finestra su Piazza San Pietro.
“E’ talmente piccolo che potrebbe essere chiunque”, rispose mio padre sorridendo.
Turisti e fedeli fotografavano quell’icona bianca affacciata alla finestra. Mio padre ed io ascoltavamo con noia. Ogni tanto ci guardavamo perplessi. Poco dopo iniziò a piovere. La gente si rifugiò sotto il colonnato del Bernini. Il Papa continuò a parlare. Anche se in piazza non c’erano più fedeli, bisognava comunque parlare ai miliardi di fedeli collegati davanti agli schermi televisivi.
Mio padre mi invitò a pranzo. L’idea era quella di andare in un ristorante che conosceva,vicino l’ingresso dei Musei Vaticani, ma l’insistenza della pioggia ci obbligò a ripiegare sul ristorante più vicino dove mangiammo dell’ottima pasta all’uovo.
Il cielo si asciugò e camminammo molto, tra chiese, palazzi e piazze. Guardammo il Colosseo come fosse stata la prima volta. La giornata fu semplice, ma la più bella giornata di Gennaio della mia vita.
Quando mio padre ripartì per la Sicilia, mi sentii pronto per il primo giorno in Ambasciata. Avevo tagliato i capelli, stirato i vestiti, lucidato le scarpe e terminato di leggere tutti i libri sugli Stati Uniti che avevo comprato nelle settimane precedenti.
Non dimenticherò facilmente il primo giorno all’ambasciata. Alle nove di mattina mi presentai al cancello, superando i controlli dei marines e incontrando Roberto e Sergio, due studenti della mia stessa università che mi avrebbero accompagnato per i due mesi di lavoro.
Ci fecero girare l’ambasciata presentandoci agli impiegati di ciascun ufficio. L’ambiente era grande, serio e professionale. Avevo voglia di fare e imparare, e magari di lasciare un segno che potesse essere apprezzato per un eventuale futuro avvicinamento lavorativo.
Con Roberto e Sergio non fu facile. Li conoscevo appena e mi davano l’impressione di non essere felici della mia presenza. Probabilmente non si fidavano di me o semplicemente non ero il loro tipo. Entrambi vivevano un esagerato spirito di competizione, soprattutto Roberto.
Anche quando si camminava per l’Ambasciata in compagnia di altri dipendenti, correvano cercando di stare ai lati del nostro accompagnatore. Io cercavo di fare lo stesso, ma il dolore al tendine d’Achille e al ginocchio destro non me lo permettevano. Così mi trovavo alle spalle di tutti a sentire solo parzialmente i loro discorsi.
Con il passare dei giorni l’infiammazione al tendine scemò. Cercai di approfittarne per uscire dalle loro ombre e lavorare il più possibile ottenendo evidenti risultati lavorativi. Ci riuscii tanto bene da permettermi di competere alla pari.
Quando si accorsero di ciò arrivò il momento dei chiarimenti e della pace. Ci riunimmo tutti e tre nella stanza del briefing mattutino, e dopo un’accesa conversazione stabilimmo delle regole di comportamento, dei limiti da rispettare per evitare di ostacolarci a vicenda.
Fu un grande giorno, importante perché ci trasformò in una squadra compatta e perché avviò una sincera e leale amicizia. Quel giorno ci aiutò a crescere, a capire di dover essere chiari e onesti sempre, con tutti.
Da quel giorno Roberto e Sergio sono due miei amici, due cari, sensibili e allegri ragazzi, due ottimi giornalisti con un numero di difetti pari al mio. Quando penso a loro non posso fare a meno di ricordare i bei giorni in ambasciata, dove tra una notizia e l’altra, un cornetto e un’insalata, una traduzione e una trascrizione, ridevamo e scherzavamo, ci prendevamo in giro sentendoci più vicini a Dio, fieri di camminare in giacca e cravatta con un pass attaccato al collo.
Ogni tanto si usciva insieme a bere qualcosa, disturbare le turiste straniere, mangiare qualcosa e parlare dei colleghi. Si discuteva di donne, americane e non, del servizio di sicurezza, della migliore pizza della zona, della stampa italiana ed infine di noi tre, di idee, sogni, problemi di tre ragazzi di quella che ho sempre definito la provincia della provincia della provincia d’Europa: Messina.
Gennaio 2008 passò così, tra lavori in Ambasciata, amici scoperti e abbracciati, esperienze nuove e illuminanti, tra serate passate in allegra compagnia e altre trascorse nel mio striminzito appartamento popolare a Santa Maria del Soccorso in compagnia di Robinson Crusoe e Gulliver.
Tratto da “Diario di un soggiorno romano”
Gennaio-Febbraio 2008
Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog l’8 Maggio 2008