15.11.2012 Alessandro Di Maio

Gaza, una guerra non voluta e voluta da tutti

Quella in atto in queste ore tra Israele e la Striscia di Gaza non è una guerra. O meglio, non lo è ancora. Per saperlo bisogna attendere qualche ora. Dall’attività militare delle prossime ore capiremo se si tratta di una Piombo Fuso 2 o di un operazione in scala ridotta, senza intervento via terra e limitata ad air-strikes contro obiettivi militari e leader politici.

Sul web i commenti si sprecano. “È un attacco brutale contro i civili di Gaza”, scrive sulla mia pagina Facebook una donna palestinese. “Non è una guerra, è un massacro. In una guerra il nemico non sta dentro una gabbia”, commenta un’altra.

Una collega israeliana mi scrive in privato: “Ho paura di quello che accadrà nei prossimi giorni. Ho paura per la mia famiglia e per i miei amici che vivono a Sderot, vicino Gaza. Ho paura per i palestinesi di Gaza. Ho paura che con una nuova guerra Benjamin Netanyahu rivinca le elezioni”.

Un’amica palestinese di Gerusalemme scrive: “Oh no, un’altra guerra no. Tutto ma non un’altra guerra”. Poi aggiunge: “So che a iniziare sono stati i palestinesi di Hamas, che in pochi giorni hanno lanciato centinaia di missili contro i civili israeliani, ma quando Israele risponde è sempre un ‘big one’”.

A Gerusalemme e Tel Aviv tutti sanno cosa sta accadendo a sud. Tutti sanno, tutti parlano, ma è come se si riferissero a fatti ed eventi distanti migliaia di chilometri.

In Cisgiordania si facevano i preparativi per il giorno dell’indipendenza palestinese, 15 Novembre, ma adesso sono tutti a guardare le tv satellitari arabe per capire cosa sta succedendo ai loro fratelli di Gaza.

E poi ci sono gli abitanti di Gaza e quelli del Sud Israele. Entrambi soggiogati dalla dialettica della forza che da anni blocca un conflitto che sembra sempre più complicato e irrisolvibile.

Ma come si è arrivati a questo punto? Perché l’esercito israeliano sembra essere pronto a dare il via a una nuova guerra contro Gaza?

Partiamo da fine Ottobre, quando l’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, visita Gaza, incontra il premier di Hamas Ismail Haniyeh e promette investimenti miliardari e progetti di ogni tipo. Per Hamas è un’occasione d’oro: per la prima volta dopo anni d’isolamento ed embargo, il suo governo potrà finalmente avere un appoggio economico continuo.

In Cisgiordania, Fatah e il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas criticano la visita perché ritengono che l’unico interlocutore internazionale palestinese sia appunto l’ANP, e la visita dello sceicco non farebbe altro che sminuirne l’autorità e aumentare quella del concorrente/nemico Hamas. L'opposizione alla visita è giustificata anche dal fatto che l'ANP vorrebbero avere accesso ai fondi promessi dal Qatar al governo di Hamas a Gaza.

Nei giorni immediatamente successivi alla visita dello sceicco, Israele ha dovuto affrontare una tensione crescente al confine con la Siria a nord, e al confine con Gaza a sud.

Gli incidenti avvenuti in Siria – vedi qui - hanno creato un certa apprensione tra gli israeliani perché era dalla Guerra dello Yom Kippur che da quel confine non giungevano echi di guerra.

Esattamente come la Turchia, Israele ha prima avvertito di essere disposta a rispondere al fuoco se gli incidenti si fossero ripetuti, e poi, quando questi si sono ripetuti, ha effettivamente risposto al fuoco. Da allora, il confine con la Siria tace.

A sud, invece, la scena non è stata diversa da quella di numerose e precedenti occasioni. Si è assistito al già collaudato gioco di forza tra l’esercito israeliano (IDF) e i miliziani di Hamas, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) e Movimento della Jihad Islamica Palestinese (PIJ), in un botta e risposta continuo e in crescendo (vedi qui o qui nel dettaglio) che ha portato in meno di una settimana al lancio di più di 100 razzi (mortaio, Qassam e Grad) dalla Striscia di Gaza contro i centri abitati del sud di Israele, e alla risposta israeliana avvenuta il 14 Novembre con un attacco mirato contro l’auto su cui viaggiava Ahmed al-Jaabari, capo dell’ala militare di Hamas specializzata nel lancio di razzi, la Brigata Izz ad-Din al-Qassam.

Ucciso al-Jaabari, l’esercito israeliano ufficializza le proprie intenzioni con un tweet della propria portavoce, Avital Leibovich: “L’IDF ha iniziato una compagnia allargata contro i centri operativi terroristici nella Striscia di Gaza”. Se l’escalation di violenza diventasse una guerra vera e propria, sarebbe la prima della storia ad essere stata dichiarata via Twitter.

L’operazione dell’IDF è stata denominata Pillar of Defence, Colonna di Difesa, ed è iniziata con circa venti attacchi aria-terra contro obiettivi militari della Striscia di Gaza che hanno lasciato a terra otto palestinesi.

Nel frattempo il presidente egiziano Mahmud Morsi ritira il proprio ambasciatore da Tel Aviv, mentre i miliziani palestinesi - in particolare quelli delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam - ricominciano a lanciare razzi (100 fino ad ora dall'uccisione di al-Jaabar) per tutta la notte fino a causare la morte di tre israeliani. D'altronde sempre via Twitter, l’ala militare di Hamas aveva avvertito: con l’uccisione di al-Jaabar, non solo “è iniziata la guerra che porterà alla liberazione della Palestina”, ma Israele “dovrà aspettarsi giorni neri e colpi molto duri”. Promettono nuovi attacchi terroristici kamikaze contro gli israeliani e diffondono la falsa notizia (ripresa anche dalle televisioni israeliani) secondo cui un razzo di Hamas avrebbe colpito la centrale elettrica di Tel Aviv.

A questo punto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sembra più propenso a un allargamento dell’operazione. Solo qualche giorno prima, quando i cittadini israeliani al confine con Gaza iniziavano a reclamare una reazione al lancio dei missili, aveva dichiarato di essere propenso all’incremento del numero degli air-strikes per evitare un’operazione di terra.

A confermare l’allargamento dell’operazione, ci sarebbe la decisione del gabinetto israeliano di approvare il richiamo dei militari riservisti. Nonostante questo l’operazione non è ancora guerra. Come diceva l’amica palestinese citata prima, una guerra farebbe molto comodo all’attuale primo ministro Netanyahu.

Nei sondaggi per le elezioni legislative di Gennaio 2013, infatti, lui è già dato in vantaggio, ma un’azione militare a Gaza potrebbe portargli qualche voto in più. Tuttavia, alcuni analisti hanno fatto notare che se Colonna di Difesa diventasse una guerra sulla scia di ciò che fu Piombo Fuso tra il 2008 e il 2009, quindi una guerra di qualche settimana con vittime da entrambi i fronti, i voti per Netanyahu potrebbero scendere di numero e non aumentare, esattamente come accade alle elezioni di febbraio 2009 per il partito Kadima (centro-sinistra) al governo e il suo leader Tzipi Livni.

Se le scelte del governo israeliano appaiono ancora non chiare, a Gaza vi sono gli stessi dubbi. Dopo la visita dello sceicco del Qatar, Hamas avrebbe voluto tutto, ma non una guerra contro Israele, che avrebbe potuto mettere a rischio l’arrivo della montagna di dollari promessi dallo sceicco.

In questo senso dunque, il mancato intervento di Hamas per fermare il lancio di missili contro Israele sarebbe dovuto a una debolezza dell’organizzazione islamista nel controllare i tanti gruppi minori presenti nelle Striscia.

Da loro canto, è anche possibile che questi abbiano continuato a lanciare razzi contro Israele (nonostante gli avvertimenti di Israele a una reazione) nella speranza che un intervento militare israeliano a Gaza riducesse il potere di Hamas e aumentasse il proprio.

Il mondo arabo ha condannato le violenze attribuendole a Israele. Il rieletto presidente statunitense Barack Obama ha fatto sapere di appoggiare il diritto di Israele all’autodifesa.

Dalle tipologie di attacchi di oggi sapremo se Colonna di Difesa sarà una guerra simile a Piombo Fuso o meno. Per adesso, come sempre, chi soffre e muore sono i civili di entrambe le parti.

Alessandro Di Maio
15 Novembre 2012