03.01.2011 Alessandro Di Maio

Ferrara 2007. Parva, sed apta mihi

Da qualche ora mi trovavo a Ferrara, una ricca e bella città rinascimentale, dimora di storie e Storia, cuore d’Este a poca distanza dal Po. Ero da solo e non conoscevo nessuno. Con me avevo solo una bicicletta e uno zaino. Era la prima volta che visitavo Ferrara.

Il sole era già andato via e una leggera foschia occupò l’occupabile. Andavo alla cieca in cerca di un osteria, fiutando i sentieri più belli, orientandomi con chiese e piazze, campanili e folle di biciclette.

Percorsi Corso Biagio Rossetti verso est fino ad intravedere un maestoso palazzo bianco che faceva da angolo con il Corso Ercole I d’Este. Fermai la bicicletta e lo guardai attentamente. Le pareti, superbamente illuminate, presentavano speroni di pietra dalla geometria semi-romboidea che fuoriuscivano in direzione della strada e per tutta l’altezza del palazzo. Era il Palazzo dei Diamanti che avevo studiato da piccolo alle scuole medie.

Presi il Corso Ercole I d’Este in direzione sud-ovest, accusando le scosse prodotte dall’urto tra le gomme delle ruote ed i sampietrini della strada. Gli edifici, addossati uno all’altro, tutti antichi e ottimamente mantenuti, fecero da preludio allo spettacolo che mi si parò davanti al termine del corso: il Castello Estense o di San Michele, il monumento più rappresentativo della città di Ferrara, il più maestoso, alto e centrale.

Girai più volte attorno al castello, osservando ponti levatoi, torri, merli, finestre e scanalature. La vitalità del castello e dei suoi ampi spazi laterali palesarono la centralità del luogo, equidistante da tutti i lati delle mura difensive delimitanti la città.

Nel Maggio del 1385 Tommaso da Tortona, consigliere del marchese Niccolò II d’Este, aumentò le tasse che il popolo ferrarese era dovuto a pagare. La rivolta fu sempre dietro l’angolo fino a quando, pressato dalla ferocia popolare, il debole marchese diede l’ordine di consegnare Tommaso da Tortona alla folla imbestialita.

Ne “Gli Estensi” Luciano Chiappini recita: “afferratolo e malmenatolo, lo ridusse in tanti pezzi, bruciandone poi alcuni sul rogo dei libri pubblici gettati alle fiamme, issandone altri su canne in segno di trionfo e dando gli intestini da mangiare a uomini cani ed uccelli”.

Il marchese, che non voleva fare la fine del consigliere, chiamò l’architetto Bartolino da Novara e gli diede ordine di costruire una fortezza militare al centro della città per poter difendere l’ordine costituito in qualsiasi momento.

Il 29 Settembre dello stesso anno fu posata la prima pietra di quella che divenne una possente struttura militare-difensiva (prima) e la reggia dinastica Estense (dopo). Ancora oggi, nonostante le torri, il fossato e il ponte levatoio, pochi sono gli elementi architettonici che fanno pensare ad un antico utilizzo militare del castello.

Sceso dalla bicicletta mi affacciai alla ringhiera di pietra che dà sul fossato pieno d’acqua verde. Lì seguii le linee di malta bianca che tenevano incollati i mattoni di quel palazzo dalle cui finestre, al tempo di Tiziano, dovevano affacciarsi cavalieri, marchesi, duchi, principi, damigelle, puttane, servi e matrone dai visi bianchi e dalle vesti merlettate.

Girando l’angolo, a pochi metri vidi quello che in un primo momento mi sembrò un curioso edificio dalla facciata bianca: la Cattedrale di San Giorgio, la più grande e importante chiesa della città. Costituita da tre cuspidi di marmo bianco riccamente decorati da colonne, statue, finestre, rosoni, archi, arcatelle e bassorilievi, la Cattedrale - tavola di elementi romanici e gotici - si confondeva nella scarsa illuminazione della sera sembrando un elemento naturale, come potrebbe essere una roccia in un bosco.

Dirimpetto un edificio di mattoni difeso da una torre merlata e da merlature generali si apriva con un grosso arco ai lati del quale due statue in bronzo troneggiavano su due colonne di altezza e forma diversa. Era il palazzo municipale, fino al XVI secolo prima residenza ducale degli Este prima del trasferimento al castello.

Attraversai l’arco. Lì, dove un tempo passeggiava il duca e si attrezzavano i soldati, il settimanale Internazionale aveva invitato la scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic a raccontare l’Unione Sovietica.

C’era così tanta gente e avevo così tanta fame che preferì sedermi al ristorante e guardare da lontano attraverso il maxischermo. Ordinai un piatto di funghi e formaggio e un bicchiere di vino. Quando terminai la cena l’Unione Sovietica era già crollata. Presi la bicicletta per la via del ritorno.

Buttando a terra le coperta della notte, alle otto e trenta la città di Ferrara è già bella che sveglia. In quei giorni spesi tutto quello che avevo per acquistare libri scritta da giornalisti e scienziati politici che avrei incontrato proprio lì.

Conferenze, incontri e dibattiti organizzati dal settimanale Internazionale scandivano le giornate, ma non solo. Camminavo e pedalavo tanto. Un giorno presi la bicicletta e seguii le mura difensive della città, facendone tutto il perimetro.

Poi, quasi casualmente, trovai la casa natale di Girolamo Savonarola, un personaggio oscuro quanto affascinante, preparato e rispettabile. Preso dall’entusiasmo della scoperta chiamai mio fratello per dargli la notizia. Lui, altro incallito amante della storia, apprese la notizia con soddisfazione facendomi però capire di sapere già delle origini ferraresi del frate.

L’edificio era tutto in mattoni perfettamente arancioni, con una grosso ingresso affiancato da due finestre al piano terra. C’era anche un fiorito balconcino affiancato da quattro finestre al piano superiore. Tra il balcone e l’arcata centrale c’era scritto:“In questa sua casa paterna visse i primi XX anni Fr. Girolamo Savonarola. Nato in Ferrara il 27 di Settembre 1452, arso in Firenze il 23 Maggio 1498”.

Con la Graziella Nera raggiunsi la basilica di San Giorgio fuori le mura. L’idea fu buona perché imparai una interessante storia.

Costruire sulla riva destra del Po di Volano (un ramo deltizio del Po) tra il VII e l’VIII secolo, essa è la chiesa più antica della città. Doveva ospitare la sede vescovile in sostituzione della piccola, vicina e indifesa sede di Voghenza, più volte predata dai barbari. La città di Ferrara, tuttavia, si sviluppò sulla riva sinistra de Po, lasciando isolata la cattedrale cittadina. Nel 1135, quando venne costruita l’attuale cattedrale di Ferrara, alla chiesetta venne sottratto il vescovado e se in un primo momento fu nota semplicemente come Basilica di San Giorgio, dopo il rafforzamento delle mura cittadine fu chiamata Basilica di San Giorgio fuori le mura.