02.01.2011 Alessandro Di Maio

Autunno a Piliscsaba

Il cadere delle prime foglie dagli alberi annunciò l’arrivo dell’autunno a Piliscsaba, una cittadina ungherese a circa trenta chilometri nord da Budapest. Non ero mai stato in un paese continentale senza sbocco al mare. Da questo punto di vista l’Ungheria dell’estate 2007 mi fu madre.

Fu una tappa fondamentale, un indicazione chiara della strada da seguire, un’esperienza proficua che mi insegnò a viaggiare attraversando confini, montagne e fiumi. Lì imparai a camminare ascoltando, osservando, comprendendo la natura; imparai a chiedere passaggi in macchina o a cavallo, a viaggiare con quattro stracci chiusi in un sacco da portare sulla spalla.

A Piliscsaba l’aria fresca attraversava i tessuti dei vestiti, mentre il cielo, ogni giorno più velato da pugni di nuvole, incastrava il sole in un piccolo e debole cerchio giallo. L’estate era scivolata via come sabbia tra le dita, scandita dalle lezioni tenute all’Università Cattolica Peter Pazmany.

Era per l’università che mi trovavo lì insieme a coetanei giunti da mezza Europa. Eravamo tutti studenti, chi in medicina, legge, scienze politiche o filosofia, tutti ospiti di un’università costruita sulle rovine di un ex campo militare sovietico. Studiavamo Storia europea, Lingua e cultura ungherese e Scienze Sociali.

Quando l’estate finì i compagni di studio partirono uno alla volta. C’era chi prendeva il treno fino a Berlino, Trieste o Varsavia, chi l’autobus per Vienna o Belgrado, chi l’aereo per Istanbul, Parigi o Catania. Ogni partenza mi ricordava il primo giorno, quando con curiosità ed eccitazioni arrivai alla stazione ferroviaria Nyugati, un hangar spoglio ed essenziale fatto di ferro e vetro che ospitava vecchie locomotive.

Più che nella fiera e triste città di Budapest, l’estate del 2007 la trascorsi soprattutto a Piliscsaba, un puntino sulla mappa disegnato più per la fermata ferroviaria e per il campus universitario che per il gruppo di case lì presenti.

A Piliscsaba c’erano solo una fermata ferroviaria di un puntuale treno a gasolio, una strada statale a due corsie, due distributori di benzina, due supermercati, un fruttivendolo e un pub a conduzione famigliare. L’unica chiesa del villaggio si trovava nel campus universitario dove studiavo e vivevo. Stessa cosa per l’ufficio postale.

L’università dava vita al villaggio, era il suo centro economico e sociale. Eravamo proprio noi, studenti di mezza Europa, a frequentare l’unico pub cittadino. Era il piano terra di una casa privata.

Gli abitanti erano gentili, taciturni e per lo più anziani. Il villaggio era ordinato e pulito. Antiche villette unifamiliari provviste di giardino costituivano gli elementi base del panorama urbano del villaggio. Non c’erano molte macchine. Alcune erano ancora quelle del periodo comunista: Trabant, Zastava, Lada e Skoda, automobili fuori produzione da anni ma mantenute benissimo.

Quando gli alberi iniziarono a spogliarsi l’estate era ormai giunta alla fine, e per me era arrivato il momento di lasciare Piliscsaba e l’università Peter Pazmany, per tornare in Sicilia e riprendere la mia università. Quando presi il treno per l’Italia per me a Piliscsaba era appena iniziato l’autunno.

Tratto da "Diario dal paese magiaro"
Agosto-Settembre 2007 - Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 20 Ottobre 2007